Video della fortificazione e del rifugio alpino "La Casermetta" realizzato in collaborazione con la:
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Da Solferino al Monte Grappa "(...)" La storia del conflitto tra Italia e Austria finì nel 1918 sul Monte Grappa, ma era cominciata già nel 1859 sui campi di battaglia di Magenta e Solferino. Allora stavano contrapposti gli eserciti del giovane imperatore Francesco Giuseppe e delle truppe franco-piemontesi al comando di Napoleone III. Dopo la vittoria della coalizione, l’Austria dovette cedere al Piemonte la Lombardia e il Granducato di Parma. Un anno dopo Garibaldi sbarcò in Sicilia.
Nel 1866, questa volta al fianco della Prussia, il giovane stato italiano perse un’altra guerra contro l’impero austriaco, guadagnò tuttavia, con la mediazione di Napoleone III, il Veneto, un tributo al crescente senso nazionale degli italiani, una rinuncia al negoziato diplomatico, cosa che tuttavia non farà sparire del tutto le contraddizioni.
"(...)" I decenni seguenti portarono ai due regni la pace, una pace subdola. Tuttavia l’Italia si aggregò nel 1882 all’alleanza difensiva con l’impero austriaco e il regno tedesco, che fu detta perciò “Triplice Alleanza”. L’Austria si adeguò a questo trattato contro la propria volontà, su pressione tedesca, l’Italia esclusivamente per trovare alleati contro l’aggressività politica coloniale dei francesi nell’Africa settentrionale. Anche il rinnovo del triplice patto, stipulato nel 1912, con validità di 6 anni (!), non poteva celare la conflittualità sopita riguardante i territori irredenti. La I Guerra Mondiale Allorché nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale con la dichiarazione di guerra dell’Austria alla Serbia e con la conseguente entrata nelle ostilità dell’impero russo, la Triplice Alleanza esisteva ancora, ma solo sulla carta. Allo scoppio del conflitto, l’Italia si dichiarò subito neutrale con la motivazione che l’attacco dell’Austria alla Serbia sarebbe stato un atto di aggressione e non si sentì quindi in obbligo di adempiere al proprio dovere di alleata. Presto diventerà chiaro che l’Italia avrebbe mantenuto la propria neutralità esclusivamente a prezzo di una rinuncia territoriale da parte austriaca.
Il 10 aprile 1915, il ministro degli esteri italiano, duca d’Avarna, avanzò la richiesta, non solo del Trentino, ma anche di parti dell’Alto Adige e, inoltre, di Gradisca, Gorizia, della linea dell’Isonzo fino a Tolmezzo, della costa adriatica fino a Monfalcone e di Lissa e le isole del suo arcipelago. In contropartita offriva la “perfetta neutralità” per l’intera durata del conflitto.
Queste richieste vennero respinte da parte austriaca come inaccettabili (16 aprile 1915). Parallelamente l’Italia si era fatta garantire dagli avversari dell’Austria, alla condizione di un’entrata in guerra al fianco degli alleati, queste ed altre pretese territoriali (tutto l’Alto Adige fino al Brennero, Trieste con tutta l’Istria) nella conferenza di Londra. Dopo la sottoscrizione dell’intesa segreta di Londra del 26 aprile, il 23 maggio il duca d’Avarna consegnò a Vienna la dichiarazione di guerra italiana.
"(...)" Da una parte sta un impero antico della Mitteleuropa, che da secoli abbraccia molti popoli e culture sotto l’unico tetto di una monarchia che, proprio nei decenni prebellici, aveva perso forza, non riuscendo a reagire politicamente, se non in modo inadeguato, al nazionalismo ovunque dilagante tra le proprie popolazioni.....; dall’altra un regno giovane, unificato da poco tempo, la cui politica era determinata dalla spinta delle proprie emozioni nazionali. L’Italia del dopo Garibaldi ha un’impronta di stato attivo, alla ricerca del proprio progresso e di raggiungere il dominio su tutta l’area dove viene parlata la lingua italiana. È uno stato votato al bisogno di successi economici e, dopo interminabili secoli di frammentazione, alla ricerca di un riconoscimento internazionale. Nell’incontrarsi tra questi mondi, nuovo e vecchio, non c’era spazio per una convivenza pacifica.
La guerra era, in un’ottica storica, inevitabile. "..."
testo tratta dal libro "I forti dimenticati" (autore lo storico austriaco W.A. Dolezal) editore "W. Pilotto di Feltre
- Il Forte -
anno di costruzione: 1906/1911 armamento: 6 cannoni 149A in cupola girevole 5 mitragliatrici in casamatta 6 mitragliatrici in torretta corazzata 1 osservatorio girevole compiti: battere le mulattiere che salivano dalla Valsugana all'altopiano dei Sette Comuni fornendo una copertura di tiro in tutta la zona circostante per un raggio di 12 km
La batteria corazzata costruita tra il 1906 e 1912 a quota 1512m di Cima Campo venne in seguito denominata "Forte Leone" e rappresentò la più potente fortificazione permanente dell'intera fortezza Brenta - Cismon.
L'opera è costituta da parti distinte e separate tutte però collegate da passaggi coperti ed alla prova, costituendo un vasto e temibile complesso difensivo che suscitò serie preoccupazioni nello Stato maggiore austriaco ancora prima che giungessero a termine. Le componenti del fortilizio si possono così distinguere:
- una postazione per il combattimento lontano, la batteria corazzata vera e propria; - una postazione per il combattimento ravvicinato, in calcestruzzo; - un blocco-caserma adibito ad alloggi, servizi e magazzini, con annessi cortile di gola, polveriera interrata e laboratorio per la preparazione dei proiettili e delle cariche; - un vallo perimetrale, che sul fronte di gola assumeva l’aspetto di un vero e proprio fossato a pareti verticali mentre sul fronte principale e sul lato destro si presenta va come un semifosso a scarpa inclinata e controscarpa verticale. Sul lato sinistro lo scavo, reso impossibile dalla marcata pendenza del terreno che precipitava verso il fondovalle, era sostituito da una barriera a grata.
La postazione per il combattimento lontano era rappresentata da un imponente banco in calcestruzzo e pietra, largo 15 m e lungo circa 85 m, con una conformazione a spezzata aperta in tre segmenti, che ospitava ben sei installazioni tipo Armstrong a copertura pesante per cannoni da 149A ed una cupola-osservatorio girevole modello Gruson in posizione centrale. Il fronte di combattimento era rivolto a nord, con una lieve rotazione verso nord-ovest. Lo spessore delle masse coprenti, in calcestruzzo privo del la benchè minima armatura metallica, era di circa 2,5 m e la superficie, in buona parte coperta da una cotica erbosa a scopo mimetico, era irta di bocchette d’ areazione a ti raggio naturale per l’indispensabile ricambio d’aria nelle casematte. La costruzione, che affiorava appena dal terreno e le cupole godevano di un’ottima visibilità a 360°, digradava frontalmente con una scarpa che per i primi due metri era in calcestruzzo, mentre più sotto era costituita da terreno naturale (roccia e terriccio). Infatti il blocco della batteria, come risulta evidente dalle sezioni riportate, era essenzialmente costituito da un corridoio trasversale di collegamento dal quale si dipartivano le rampe scalinate di accesso ai pozzi, che erano in posizione avanzata rispetto al corridoio stesso. Intercalate tra i pozzi, le riservette per i proiettili godevano di buona protezione, similmente al locale della direzione di tiro immediatamente sottostante alla cupola osservatorio. All’incirca a metà del corridoio di batteria, sul pavimento di un vano a nicchia ricavato dalla parete posteriore, si aprivano i pozzi verticali del montacarichi utilizzato per l’innalzamento dei proiettili. Undici metri e mezzo più in basso, nel cuore della montagna, iniziava una lunga poterna orizzontale che sfociava nel corridoio trasversale posteriore del pianterreno del blocco caserma.
Una seconda poterna scalinata, con gradini in cemento a bassa alzata e larga battuta, scendeva all’indietro dal corridoio di manovra fino al primo piano del blocco caserma ed era munita di porta blindata. Essa rappresentava il collegamento principale tra queste due parti della fortificazione.
Il dispositivo per la difesa vicina era costituito da elementi, parte di superficie e parte interrati, in grado di permettere ai fucilieri di affluire in tutta sicurezza ai posti di combattimento e di presidiarli spostandosi al coperto da un punto all’ altro grazie a col legamenti sotterranei. Un profondo trincerone in calcestruzzo, con gradino di tiro e banchina d’appoggio sul parapetto nonché frequenti mensole per 1’appostamento di mitragliatrici su treppiede, correva attorno alla pianeggiante sommità dell’opera avvolgendo l’intero blocco batteria, rispetto al quale si trovava più basso di qualche metro. Sottoterra, al di sotto ed all’interno rispetto al trinceramento, correva parallela mente un corridoio protetto da una buona massa di conglomerato cementizio, dal qua le era possibile accedere con frequenti rampe di scale alla postazione scoperta. Dal medesimo corridoio si staccavano dei brevi passaggi pianeggianti che portavano alla base delle postazioni corazzate per mitragliatrici Gardner sotto cupola Gruson a scomparsa. Al posto delle già datate armi automatiche americane, erano state però installa te da subito le più moderne Maxim mod. 1906 su treppiede. Ben sei di queste torrette corazzate retrattili guarnivano la difesa vicina di forte Campo: di esse, 2 controlla- vano l’ala sinistra, altre 3 dominavano il fronte principale ed il fossato anteriore, mentre la sesta copriva il fianco destro. Le ultime due torrette di destra disponevano di una propria direzione di tiro, munita di periscopio retrattile e collocata in locale alla prova, tuttora visitabile. Dai due lati della postazione per il combattimento ravvicinato, due poterne a gradini permettevano di scendere all’indietro verso le ali del blocco caserma, ed esisteva in entrambi i casi anche un collegamento diretto con il blocco batteria.
Il blocco caserma, che ospitava tutti i servizi e gli alloggi necessari alla guarnigione, era un edificio su due piani lungo 81 m e largo 13 m, con copertura alla prova (spessore del calcestruzzo 2,5 m), realizzato previo sbancamento del lato sud-orientale del la sommità di cima Campo. La facciata rivolta verso il blocco batteria era pertanto la più protetta, appoggiata com’era al banco roccioso della vetta, dal quale lo separava un’intercapedine di 50 cm a difesa dall’umidità. Su quel lato, quindi contro roccia, cor Dalla base del montacarichi che innalzava i proiettili al corridoio di batteria, la linea di binari a scartamento ridotto (40 cm) su cui correvano i carrelli sboccava sul corridoio del pianterreno del blocco caserma dopo aver percorso la già citata poterna; una piattaforma girevole permetteva loro di svoltare a 900 e proseguire fino all’estremità sinistra del collegamento interno; altre due piattaforme facilitavano il proseguimento dei carrelli lungo il camminamento protetto sul lato sinistro del cortile di gola fino al l’ingresso della polveriera. Il percorso su rotaia terminava davanti a due locali con tetto in legno e lamiera adibiti al confezionamento delle cariche, oltre i quali, sbarrato da un portone metallico, un tunnel rivestito in calcestruzzo scendeva con discreta pendenza in direzione nord-ovest per una quindicina di metri. In fondo alla rampa inizia va, a sinistra, un ampio stanzone di 30x8 m con soffitto a volta in calcestruzzo, al cui interno erano allineati in sequenza il deposito delle granate e quelli della balistite. Si trattava di costruzioni realizzate con il solito sistema denominato “a casetta in caverna”, con un’ ampia intercapedine che li separava dai muri perimetrali per favorire il ricircolo dell’aria. I muri perimetrali e divisori erano in muratura mentre la copertura, sostenuta da un’orditura di travi, era realizzata in tavolato di lance ricoperto da cartone catramato con volta a botte. Anche sotto al pavimento esisteva un’ intercapedine d’aria, dato che la costruzione poggiava su pilastrini in mattoni. Le precauzioni per evita re tragici incidenti erano le solite: l’esplosivo veniva prelevato su appositi carrelli con ruote in fibra per evitare scintille da sfregamento; serrature, catenacci e chiodi delle casette erano tutti in ottone per la stessa ragione, mentre l’illuminazione elettrica era incastonata in apposite finestre a doppio vetro con camera d’ aria e sfiati per evitare anche il semplice surriscaldamento delle lampadine. La facciata del blocco caserma guarda sull’ampio cortile di gola, o piazza d’armi, difeso da un muro in pietrame, alto 2,5 m e con uno spessore di 50 cm, nel quale sono ricavate numerose feritoie per fucilieri un tempo protette da piastre corazzate dello spessore di 10 mm. L’intero cortile poteva venire battuto d’infilata dalle feritoie del primo e secondo piano dell’ala sinistra sporgente del blocco caserma.
Il vallo perimetrale che circondava l’intera opera fortificata assumeva caratteri di versi in relazione al terreno ed alla importanza difensiva. Sul fronte principale (nord ovest) e sul fianco destro era costituito da un semifosso con scarpa di moderata pendenza e con il fondo coperto di reticolati permanenti; la controscarpa era verticale, rivestita di conci squadrati e con un’altezza di 5 m. Alle due estremità del fronte di combattimento, alla base del muro di controscarpa si aprivano due postierle che punta vano a nord-ovest, ortogonalmente al muro stesso, e sboccavano all’esterno con tragitto pianeggiante qualche decina di metri più avanti, sul versante settentrionale di cima Campo. Protette all’esterno da posti di guardia permanenti e da reticolati, erano munite di porte e potevano venire interrotte mediante il brillamento di mine i cui fornelli erano già predisposti nelle pareti. Sul lato sinistro, il terreno rapidamente digradante non aveva permesso lo scavo di un fossato, sostituito da un basso muro in calcestruzzo sul quale si ergeva una robusta cancellata formata da una palizzata metallica alta quattro metri, intrecciata a reticolati tesi a diverse altezze e completamente battuta dal tiro delle tre mitragliatrici in torretta corazzata in grado di intervenire sul medesimo versante. La gola era invece protetta da un vero e proprio fossato a pareti verticali, largo 5 m e profondo, a seconda dei tratti, da 3 a 6 m. L’andamento era spezzato da angoli retti e ciò aveva reso impossibile dominarlo con fuoco d’infilata da una sola posizione; si era dovuti ricorrere a quattro gallerie di scarpa, con feritoie per fucili e mitragliatrici, collocate nei punti dominanti ed indicate nella planimetria di fonte austriaca con le lettere ki, k2, k3 e k4. Ad esse si accedeva mediante poterne a partenza dal blocco caserma. L’ingresso al cortile di go la era assicurato da un ponte metallico, retrattile sotto il piano di calpestio mediante ingranaggi azionati manualmente, che portava al cancello metallico incardinato su due eleganti pilastri in pietra.
L’armamento complessivo dell’opera corazzata, incluse le artiglierie appostate nei pressi con funzioni di supporto, comprendeva nel novembre 1914 i già menzionati 6 cannoni da 149A in pozzi con copertura pesante (installazioni mod. Armstrong), 8 can noni da 75A, 6 mitragliatrici Maxim mod. 1906 in torretta corazzata a scomparsa e 5 mitragliatrici del medesimo modello in casamatta. Obiettivi delle armi pesanti erano quello di battere efficacemente tutte le mulattiere che dalla valle del Brenta risalivano sull’altopiano dei Sette Comuni (essenzialmente i sentieri della Pertica e di Frizzon) e, non meno importante, quello di coprire con il loro tiro tutta la zona circostante per un raggio di circa 12 chilometri. Il grande dislivello rispetto alla Valsugana determinava però amplissime zone morte che si estendevano fino quasi a Grigno. Il campo di tiro riservato ai pezzi da 75A comprendeva l’area di monte Picosta e le alture prative di Celado.
All’esterno del forte, un importante complesso campale ad esso collegato si estendeva ad est e a nord. Ad oriente del fossato di gola iniziava infatti un lungo cammina- mento-trincea di oltre 300 m che conduceva, sottopassando due volte la rotabile per l’opera corazzata, alla località Casère di Col di Gnela dove si trasformava in una ridotta trincerata ad andamento curvilineo. Qui sorgevano ben tre caserme, costruite in successione prima dell’apertura del cantiere del forte, con tipologia sovrapponibile a quel la della già descritta caserma di forte Lisser. In relazione alla loro destinazione, una di esse era la cosiddetta “caserma degli alpini”, un’ altra era detta “degli artiglieri”. La capacità complessiva dei tre grandi baraccamenti, ciascuno dotato di propria cisterna per l’acqua, era di circa 400 uomini, ma in essi trovavano posto anche gli alloggi per ufficiali, un forno, magazzini per derrate ed il magazzino artiglieria del Genio. Accanto al le caserme sorgevano l’abitazione occupata in tempo di pace dall’ufficiale comandante il forte una tettoia ad uso deposito attrezzi, una scuderia ed un corpo di guardia. Circa un chilometro a nord di cima Campo, sul costone nord di Colle Ruscello (q. 1440), in posizione non visibile dall’opera corazzata esisteva un altro caposaldo trincerato per fanteria, protetto da reticolati. Queste due strutture campali avevano la funzione di impedire un rapido avvicinamento nemico a cima Campo sia frontalmente che per aggiramento da oriente."
Per gentile concessione del sig. Girotto Luca autore del volume "Soldati e fortezze tra Asiago ed il Grappa" Gino Rossato editore
Ringraziamenti
Il fotografo Fabio Zontafotografo, autore delle immagini delle fortificazioni. Il sig. Girotto Lucaautore del volume "Soldati e fortezze tra Asiago ed il Grappa" Gino Rossato editore". L'architetto Fabrizio Pat Lo storico Wolfgang Alezander Dolezalautore del volume "I forti dimenticati" Editore Libreria Pilotto La dott.sa Cindy Rechper la preziosa collaborazione